Il termine “sharenting“ è una parola nata dalla fusione di “sharing” (condividere) e “parenting” (essere genitori) e indica la pratica sempre più diffusa tra i genitori di condividere online, specialmente sui social media, foto, video e informazioni sui propri figli.
In Italia, diverse sentenze hanno già riconosciuto il diritto dei figli o dell’altro genitore a chiedere la rimozione di contenuti pubblicati senza previo consenso, come quella emessa dal Tribunale di Mantova nel procedimento recante n. 2881/17 di R.G., che ha condannato una madre per aver pubblicato foto dei figli senza l’autorizzazione del padre, sancendo il seguente principio di diritto:
“L’inserimento di foto dei figli minori sui social network avvenuto con l’opposizione di uno dei genitori integra violazione della norma di cui all’art. 10 c.c. (concernente la tutela dell’immagine), del combinato disposto degli artt. 4,7,8 e 145 del d. lgs. 30 giugno 2003 n. 196 (riguardanti la tutela della riservatezza dei dati personali) nonché degli artt. 1 e 16 I co. della Convenzione di New York del 20-11-1989 ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 991 n. 176, sicché va vietata la pubblicazione di tali immagini e disposta la rimozione di quelle già inserite”.
Una recentissima svolta sul tema proviene da una sentenza emessa nel mese di giugno 2025 dal Tribunale di Milano che, chiamato a decidere nell’ambito di una controversia tra due genitori che si accusavano a vicenda della pubblicazione di foto e video dei figli minori su Facebook senza consenso dell’altro, attingendo dall’impianto legislativo esistente in materia, ha introdotto un principio innovativo sul piano giuridico: i genitori sono i “custodi” delle immagini dei propri figli e ne rispondono anche penalmente qualora tali contenuti vengano condivisi sui social, anche inavvertitamente.
La predetta pronuncia ha, quindi, fissato i seguenti principi:
- i genitori sono considerati “custodi legali dell’immagine digitale” dei figli;
- ogni pubblicazione, anche accidentale, può comportare responsabilità civile e penale dei genitori;
- sussiste un dovere di vigilanza e prudenza digitale in capo a ciascun genitore;
- l’amore genitoriale non giustifica l’esposizione pubblica non necessaria di immagini relative ai propri figli.
Il provvedimento, oltre a richiamare espressamente la possibilità di incorrere nella commissione del reato di trattamento illecito di dati, richiama un generale dovere giuridico che grava su chi esercita la potestà genitoriale: proteggere il decoro, la dignità e la sicurezza del proprio figlio.
Il fenomeno dello sharenting non rinviene la propria disciplina in un’unica fonte normativa, bensì in una combinazione di norme civili, penali e sovranazionali; tale disciplina può risultare frammentaria ma è, al contempo, sinergica e mira a bilanciare il diritto dei genitori a raccontare la propria esperienza con quello, fondamentale, dei figli a crescere liberi da un’identità digitale imposta prematuramente.
In primo luogo, il Codice Civile tutela il diritto all’immagine e alla riservatezza del minore attraverso l’art. 10, sull’abuso dell’immagine altrui, e gli artt. 316 e ss., che regolano la responsabilità genitoriale, imponendo ai genitori di agire nell’interesse esclusivo del figlio.
Sul piano penale, possono rilevare gli artt. 595 Codice Penale, sulla diffamazione, e 615-bis Codice Penale, sulle interferenze illecite nella vita privata, nei casi in cui la pubblicazione leda la dignità o la riservatezza del minore.
Fondamentale è poi la normativa europea in materia di protezione dei dati personali: il Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), stabilisce che il trattamento dei dati dei minori richiede particolare attenzione, soprattutto online e che, in Italia, il consenso digitale è valido solo dai 14 anni in su.
Infine, la tutela dell’immagine del minore è rafforzata anche dagli artt. 96 e 97 della Legge sul diritto d’autore (L. 633/1941), che vietano la pubblicazione dell’immagine senza il consenso dell’interessato o, nel caso di minori, dei titolari della responsabilità genitoriale, purché nel rispetto del superiore interesse del minore.
Questa rete normativa mira a proteggere l’identità digitale del minore, prevenendo una sovraesposizione che potrebbe comprometterne la libertà, la dignità e la formazione della personalità
Da uno studio dell’European Pediatrics Association, pubblicato sulla rivista Journal of Pediatrics e coordinato dal prof. Pietro Ferrara (Referente per Maltrattamento e Abuso e Rapporto con Garante dell’infanzia e Adolescenza della Società Italiana di Pediatria – SIP), volto ad evidenziare i rischi legati alla privacy, alla sicurezza digitale e alla tutela dell’immagine del minore, sono emersi i seguenti dati:
- i genitori europei condividono in media 300 foto all’anno dei propri figli;
- un bambino è protagonista di circa 1.000 post prima dei 5 anni;
A seguito dell’emersione di dati tanto preoccupanti, la SIP, così come la Commission Nationale de l’Informatique et des Libertés – CNIL (l’autorità garante per la protezione dei dati personali francese), hanno stilato un vademecum al fine di istruire le famiglie sui rischi associati a questa pratica.
In estrema sintesi, vengono offerti ai genitori i seguenti consigli:
- evitare la condivisione sui social network di immagini, video e qualsiasi tipo di contenuto che abbia come protagonisti i propri figli e che, pertanto dovrebbero rimanere sempre privati, al fine di evitare il rischio che vengano impropriamente utilizzate da altri;
- preferire, quindi, l’eventuale condivisione tramite messaggistica istantanea privata e sicura, anche a mezzo e-mail o MMS, inviando eventualmente tali contenuti a soli familiari o amici stretti;
- in ogni caso, chiedere sempre il consenso del proprio figlio (tenendo a mente che, come anticipato, in Italia il consenso digitale è valido solo dai 14 anni in su) nonché dell’altro genitore, prima di diffondere qualsiasi contenuto riguardante i propri figli, in particolare sui social network, trattandosi di atto non ordinario che richiede il consenso di entrambi i genitori;
- se si decide di pubblicare, essere selettivi ed evitate determinati contenuti che coinvolgano la privacy dei propri figli (quali foto in costume, in vasca da bagno o addirittura nudi), pertanto essere selettivi;
- laddove si decida di condividere sui social network, nascondere sempre il volto del bambino, quindi, riprenderlo di spalle o coprirne il volto anche con un’emoticon;
- familiarizzare con la policy relativa alla privacy dei siti sui quali si condividono contenuti, quindi selezionare i destinatari dei propri contenuti, limitando la visibilità dei post ai propri abbonati o addirittura solo ad alcuni tra questi, evitando che estranei possano in alcun modo avervi accesso;
- non esitare a chiedere ad amici e familiari di non condividere foto o video dei propri figli sui social network senza il proprio permesso;
- attivare notifiche che avvisino i genitori quando il nome dei loro figli appare nei motori di ricerca.
In tale contesto, si impone una riflessione consapevole sull’uso degli strumenti digitali in ambito familiare, affinché l’esercizio della responsabilità genitoriale sia sempre orientato alla tutela dell’interesse superiore del minore, anche nella sua dimensione digitale.
Alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale esaminato, emerge con chiarezza il genitore che pubblica contenuti relativi ai figli minori senza il consenso degli stessi (quanto ai minori dai 14 anni in su) o dell’altro genitore, o in violazione delle norme vigenti, può incorrere in sanzioni civili, quali la rimozione dei contenuti e il risarcimento del danno, o in sanzioni penali, quali la reclusione fino a quattro anni per trattamento illecito di dati, diffamazione o interferenze nella vita privata.